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Agroalimentare stretto tra Italian sounding e dumping

Continua battaglia tra le norme fitosanitarie da applicare e i veti con i quali si fa la guerra commerciale.

Lo ha affermato l’editore nel suo commento che con la guerra in Ucraina molti paesi dell’Est Europa stanno diventando più aggressivi per recuperare le quote perse nell’export in Russia. Purtroppo molti prodotti che importiamo sono meno sicuri e ci sono dossier che bloccano l’export dei nostri prodotti.

Prodotti esteri però, arrivano regolarmente nel nostro Paese, mentre quelli italiani non possono arrivare all’estero spesso perchè non viene concessa l’autorizzazione fitosanitaria.

La Coldiretti sottolinea che nonostante l’accordo Ceta tra Ue e Canada, non possiamo esportare i pomodorini nel Paese dell’acero perché i canadesi vorrebbero che fossero trattati con il bromuro di metile, da noi è vietato. Altro esempio è quello dei kiwi che ha le porte sbarrate in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008.

Oltre alle barriere commerciali, si hanno anche i danni causati dalla concorrenza sleale con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese. Ad esempio, le nocciole dalla Turchia, su cui pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde. Ma ci sono anche l’uva e l’aglio dell’Argentina e le banane del Brasile.

“E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute, secondo il principio di reciprocità” ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini. 

L’indagine Italian Sounding, insieme all’aiuto delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, hanno stilato un report sul fenomeno considerando gli scaffali della GDO internazionale e interrogando 250 retailer di 10 Paesi (Stati Uniti, Canada, Brasile, Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, Cina, Giappone e Australia) con focus su 11 prodotti tipici del Made in Italy agroalimentare (parmigiano, gorgonzola, prosciutto, salame, pasta di grano duro, pizza surgelata, olio-extra vergine di oliva, aceto balsamico, ragù, pesto e prosecco).

Il fenomeno di Italian sounding nel mondo vale 79,2 miliardi di euro, risultato della somma a valore dell’export nazionale agroalimentare italiano (50,1 miliardi di euro). Il potenziale di export agroalimentare della filiera italiana raggiungerebbe i 130 miliardi di euro se si eliminasse l’Italian sounding. Attualmente l’Italia ricopre una quota di mercato rilevante a livello internazionale:

1° esportatore nel mondo di pomodori pelati (78% degli scambi internazionali), 1° produttore e 1° esportatore di pasta (47% del mercato globale), 1° esportatore di passata di pomodoro (26% del mercato), 

1° produttore e 2° esportatore di vino (19,9% della produzione e 21,3% delle esportazioni), 2° esportatore di castagne, kiwi e mele.

Tra i principali partner commerciali destinatari delle esportazioni agroalimentari italiane, la Germania si conferma al primo posto (8,4 miliardi di euro, il 22,4% delle esportazioni totali italiane); seguono gli Stati Uniti e la Francia con un valore di 5,6 miliardi di euro e il Regno Unito (3,7 miliardi di euro). L’Italian sounding risulta più marcato in Giappone (quota di prodotti non autentici pari al 70,9%), in Brasile (70,5%) e in Germania (67,9%). Analizzando i prodotti, l’Italian sounding è più marcato nel ragù (61,4%), nel parmigiano (61%) e nell’aceto balsamico (60,5%).

Fonte: Foglie Tv

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